Il rapporto tra media e religione costituisce uno degli ambiti più fecondi e complessi degli studi contemporanei sulla comunicazione. In particolare, la Pasqua, fulcro del calendario liturgico cristiano e momento denso di significati simbolici e teologici, offre (anche quest’anno denso di incertezza e di crisi) uno spunto privilegiato per analizzare come il sacro venga rappresentato, narrato e vissuto nello spazio pubblico mediatizzato.
In un contesto sociale segnato dalla secolarizzazione e dalla multiculturalità, i media si pongono come luogo di negoziazione del significato religioso, trasformandosi talvolta in attori culturali autonomi rispetto alle istituzioni confessionali.
L’antropologo francese Régis Debray ha osservato che "ogni religione ha avuto la sua rivoluzione mediatica", indicando con ciò la stretta interdipendenza tra forme religiose e tecnologie della comunicazione. La religione cristiana, in particolare, ha sin dalle origini trovato espressione in forme di comunicazione orale, scritta e iconica, fino ad arrivare oggi all’ambiente digitale.
Nell’epoca della mediatizzazione la religione tende ad assumere i linguaggi e le logiche proprie dei media, subendo un processo di trasformazione simbolica che può condurre a una sua "mediatizzazione secondaria".
La Pasqua, in questo senso, è diventata negli anni un "evento mediale" a tutti gli effetti, oggetto
di rappresentazione visiva, narrativa e rituale, non soltanto all’interno degli spazi ecclesiali, ma soprattutto nei media generalisti, nei social network e nelle piattaforme digitali. La rappresentazione della Pasqua, nei media tradizionali prima e digitali poi, ha seguito spesso un doppio registro: da un lato, si offre spazio alle celebrazioni ufficiali, in particolare ai riti presieduti dal Pontefice, trasmessi in diretta e commentati con un certo rispetto formale; dall’altro, emerge una narrazione più “laicizzata”, che privilegia aspetti culturali, folklorici o legati al consumo (le uova di cioccolato, le vacanze, le tradizioni regionali…).
Parafrasando lo scienziato delle religioni, Stewart Hoover, "i media non sono semplicemente veicoli di trasmissione, ma luoghi nei quali la religione viene reinterpretata e resa accessibile al pubblico contemporaneo"). Questa reinterpretazione, tuttavia, può condurre a una forma di "sacralità diffusa", in cui i simboli religiosi perdono il loro legame originario con il trascendente per diventare segni culturali generici, adattabili a diversi contesti narrativi.
La spettacolarizzazione del sacro è particolarmente evidente nei telegiornali e nei programmi di approfondimento, o ancora nei frammenti di stories che circolano nelle piattaforme dove le immagini della folla in Piazza San Pietro, delle processioni o del rito della Via Crucis assumono generalmente talvolta un tono estetizzante, più che devozionale.
L’esperienza religiosa viene così “consumata” visivamente, senza necessariamente produrre un coinvolgimento spirituale.
Nel contesto pasquale, anche le istituzioni religiose hanno compreso l’importanza strategica del digitale. La Santa Sede, ad esempio, ha sviluppato da tempo una solida presenza online, con siti multilingue, dirette streaming, account social ufficiali del Papa e app per seguire liturgie e messaggi pasquali.
Questo fenomeno rientra in ciò che la studiosa americana Heidi Campbell definiva “religione digitale”. Non solo l’uso delle tecnologie per la diffusione del messaggio religioso, ma la creazione di veri e propri spazi di interazione e comunità spirituali online.
Le celebrazioni pasquali trasmesse in streaming durante la pandemia hanno rappresentato un esempio emblematico di questa trasformazione, rivelando al tempo stesso le potenzialità e i limiti della mediatizzazione del rito.
L’attuale fragilità fisica (ma non socio-spirituale) di Papa Francesco, cosi come l’instabilità economica e politica internazionale, non rallenteranno nemmeno quest’anno il consumismo e il flusso dei contenuti in Rete, ma, anche all’interno dei media, tale condizione potrebbe favorire l’emergere di momenti individuali, intimi, di riflessione.
Un tempo della persona, per la persona, di un cittadino mediale che si è perso, ma che ha ancora voglia di Credere e di Sperare.
I media, lungi dall’essere meri strumenti, partecipano attivamente alla costruzione del religioso nel contesto pubblico, ponendo sfide sia alla teologia che alla sociologia della religione. Per evitare che il senso profondo della Pasqua possa ancora una essere volta diluito o banalizzato, è necessario promuovere una riflessione critica e interdisciplinare sulla comunicazione del sacro.
Stimolanti, a tal proposito, le parole di José Casanova secondo cui "la religione continua ad essere una forza pubblica rilevante, ma lo è oggi in modi nuovi, spesso mediatizzati e globalizzati"
In questa prospettiva, i media non devono essere visti come antagonisti della religione, ma come interlocutori complessi, con cui è possibile avviare un dialogo fecondo, capace di restituire al sacro una voce significativa nella società contemporanea.
Buona Pasqua!
Giacomo Buoncompagni
(Ricercatore Università di Macerata – vicepresidente regionale Aiart Marche)